Il capo non le permette di uscire dal lavoro per prendere la figlia al nido e lei lo porta in tribunale: vince 180.000£

di Marta Mastrogiovanni

08 Settembre 2021

Il capo non le permette di uscire dal lavoro per prendere la figlia al nido e lei lo porta in tribunale: vince 180.000£
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Troppo spesso viene chiesto alle donne di scegliere tra la famiglia e la carriera, come se le due cose fossero inconciliabili. Una donna lavoratrice che, a un certo punto della sua vita, decide di avere un figlio ha una serie di diritti a cui appellarsi e contro cui la sua azienda non può davvero far nulla. Eppure, si sentono troppo spesso notizie di donne incinte isolate dal proprio capo o dai propri colleghi proprio a causa della gravidanza. Alice Thomson ha subito questo stesso trattamento dalla sua azienda e dal suo capo, quando ha chiesto di poter passare ad un orario di lavoro part-time, in modo da poter andare a prendere sua figlia al nido. Una richiesta più che legittima che, però, le è stata rifiutata. La donna, fortunatamente, ha avuto la sua meritata "vendetta".

via Daily Mail

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Pexels / Not the actual photo

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Alice Thomson è una grande lavoratrice e una grande risorsa per la sua azienda, la Manors, dove la donna ricopriva un ruolo manageriale. Dato che il suo lavoro le richiedeva di rimanere in ufficio fino alle sei del pomeriggio, dopo aver partorito Alice ha fatto richiesta di poter avere un orario part-time e, dunque, lavorare 4 giorni a settimana fino alle cinque del pomeriggio. La richiesta di Alice si basava esclusivamente sul fatto che, ogni pomeriggio, sarebbe dovuta andare a riprendere sua figlia al nido. Una richiesta semplice, che ha incontrato le resistenze del suo capo.

"L'azienda non può permettersi questa nuova organizzazione" e "Temo anche che questa organizzazione possa causare un effetto dannoso sulla capacità di soddisfare la domanda dei clienti, oltre alla nostra impossibilità di riorganizzare il lavoro tra il personale esistente" sono tra le scuse accampate dal suo boss nel momento in cui ha rifiutato la sua richiesta.

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Alice, allora, ha rassegnato le dimissioni e ha portato la sua azienda in tribunale, dove il giudice le ha accordato un risarcimento di 184.961 £ per la perdita di guadagni, contributi pensionistici, lesioni ai sentimenti e agli interessi, dato che l'insistenza dell'azienda a farla lavorare fino alle 18:00 le dava un grande "svantaggio". Si tratta comunque dell'epilogo di una storia iniziata già da tempo: anche quando Alice era incinta, infatti, il suo capo aveva contribuito a creare attorno a lei un ambiente ostile, escludendola persino da alcuni viaggi di lavoro, proprio a causa della sua gravidanza. Quando Alice è andata in maternità, ha ammesso di essersi sentita come se fosse stata licenziata, visto che è stata costretta a consegnare il cellulare aziendale e le chiavi dell'ufficio. Altri episodi in cui si faceva riferimento all'emotività di Alice si sono susseguiti per tutto il periodo della sua gravidanza, facendola sentire a disagio nonostante fosse un'ottima lavoratrice. Per non parlare del fatto che, durante una festa aziendale, Alice ha sentito con le sue orecchie il suo capo commentare negativamente il fatto di aver assunto una donna incinta. 

Possibile che nel 2021 una donna sia ancora costretta ad affrontare queste forme di bullismo e sessimo?

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