Essere figli unici è un privilegio o una condanna?

di Davide Bert

16 Gennaio 2019

Essere figli unici è un privilegio o una condanna?
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Come per tutte le cose anche l’essere figlio unico porta con sé sia aspetti positivi che negativi. Per la serie “dammi prima la notizia buona e poi quella cattiva”, cominciamo con i pro. Prima di tutto non è vero che i figli unici sono “sempre” capricciosi e viziati, piuttosto sono privilegiati perché non devono dividere con altri il tempo dei genitori. La maggiore attenzione verso di loro ne accresce l’autostima e la fiducia in se stessi, consentendogli tra l’altro uno sviluppo caratteriale e mentale più rapido.

Dovendo necessariamente interagire principalmente con gli adulti, i figli unici imparano a parlare e a pensare precocemente. La solitudine, intesa non come abbandono ma come capacità di trascorrere da soli il tempo, diventa una capacità costruttiva. I bambini imparano ad inventare passatempi che richiedono creatività e intelligenza, non di rado si dedicano spontaneamente alla lettura e sanno essere ordinati ed organizzati.

via lamenteesmaravillosa.com

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Passando agli svantaggi bisogna ammettere che i figli unici hanno la tendenza ad essere più egocentrici ed hanno maggiore difficoltà nell’interazione in gruppo. Avere un fratello può generare rivalità però è anche una preziosa fonte di insegnamento che consente al bambino di evolvere come persona. Il crescere da soli porta a sviluppare meno l’abilità a risolvere i conflitti con gli altri, oltre a rendere più riservati e meno espansivi.

Come detto i figli unici maturano precocemente, questo però significa che la loro infanzia può durare meno, e che quindi perdono anche più velocemente la tipica allegria e spensieratezza dell’essere fanciulli. Essendo più abituati ad avere ogni cosa per sé i figli unici hanno più problemi a condividere, sia quando si tratta di cose che di emozioni. Possono avere infine la tendenza a mettere davanti a tutto i loro problemi e bisogni.

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Essere ed avere fratelli e sorelle. 

Avere un fratello o una sorella è un dono indiscutibile, come lo è anche esserlo. Tranne nelle circostanze in cui dovesse nascere astio tra consanguinei, chiunque ne ha può testimoniare sul fatto che sono una risorsa, una forza in più su cui contare sempre. Nell’epoca moderna però la scelta del figlio unico è dettata anche dal fatto che i genitori sono totalmente assorbiti da impegni che li portano a trascorrere molto tempo fuori casa. Il compito di crescere i bambini più piccoli passa quindi ai fratelli o alle sorelle maggiori, o addirittura nella peggiore ipotesi a persone estranee che vengono pagate e incaricate di farlo. Sebbene il primo esempio sia comunque preferibile rispetto ad un surrogato esterno, in nessun caso il ruolo di genitore può essere sostituito da qualcuno.

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Tramonto della famiglia numerosa. 

Avere una famiglia, per di più numerosa, al giorno d’oggi non è più un desiderio o una priorità come in passato. Sono sempre più rari i casi in cui si vedono coppie con due o addirittura tre figli, di conseguenza aumentano i nuclei con un solo bambino. Le ragioni di questa tendenza sono svariate e non solo economiche ma anche sociali e culturali. La minore percezione di stabilità e di sicurezza finanziaria impone un certo “ridimensionamento”, per timore di non riuscire a mantenere adeguatamente una prole numerosa. Alle motivazioni di tipo strettamente pratico si aggiungono quelle etiche e personali, per cui tanti individui non si sentono mai abbastanza pronti per diventare madre o padre.

Una volta diventare genitore e allevare molti figli era una condizione quasi naturale, ora si resta troppo allungo nella condizione di “figlio”. Si ha troppa paura di rinunciare alla propria libertà per dedicarsi interamente ad un ruolo che si sente come eccessivamente carico di responsabilità. Infine vi è poi una sorta di fattore evolutivo per cui anni fa essere padre o madre era il coronamento di un percorso, rendeva cioè “completi” come persone. Adesso uomini e donne non hanno più bisogno di provare l’esperienza della genitorialità per sentirsi realizzati. Come spesso accade quando si raggiunge un obiettivo di indipendenza si pensa a ciò che si ha conquistato ma quasi mai a quello che si è perso.

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